Il cielo sulle tribune - Rizzoli - 1967
Il cielo sulle tribune - Rizzoli - 1967
Scorte ridotte: ne restano 1
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EDITORE: Rizzoli
- AUTORE: Giuseppe Brunamontini
- ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1967
- COLLANA: Narratori Moderni
Libro nuovo ancora sigillato.
Copertina rigida.
Chi racconta - anzi chi parla (giacché il tono di questo libro di Brunamontini si definisce piuttosto come un certo tipo di parlato che di scritto ) - ne Il cielo sulle tribune è un giovane apprendista operaio meccanico in vena di sottrarsi alle ore del noioso lavoro di lima con una improvvisata vocazione atletica, di corridore fondista. Sbaglierebbe il lettore che a questo punto credesse di avere ormai identificato un tipo di narrazione e pensasse a un tardo (in ogni senso) recupero del romanzo di fabbrica, della letteratura industriale. Se l’ambiente è così sociologicamente ben definito: la fabbrica ma poi il campetto sportivo, il clan degli atleti dilettanti e dei dilettanti di musica (visto che il narratore è anche appassionato di clarino), la storia si avvia piuttosto nella direzione di un picaresco tutto moderno, urbano-industrializzato. Da picaro è, in certa misura, la reazione del protagonista alla vita sportiva, prima riottosa, poi rassegnata, poi curiosa, e il suo modo stesso di fluttuare fra passione e gioco; e in chiave coerente direi che resta anche la conclusione o morale del libro: il protagonista diventa un buon operaio specializzato e un buon corridore. Freschezza, notevole disinvoltura di movimenti sia per quanto riguarda l’annodarsi e lo sciogliersi delle varie raffigurazioni, sia per quanto riguarda le singole soluzioni stilistiche, paiono le doti immediate di questo Brunamontini.
Ho detto che la narrazione è messa in bocca a un giovane apprendista, dunque sociologicamente, linguisticamente a un livello relativamente « basso»: ma anziché una mimesi stretta dei modi espressivi del mondo dei « piccoli atleti », l’autore ha scelto un linguaggio che non è una idealizzazione ma la restituzione, come parlato filtrato, dello spirito un po’ irriverente, beffardo, anche autoironico di un ragazzo moderno, di estrazione proletaria, un «dritto» a modo suo anche sentimentale.
Questo parlato, come non è il ricalco realistico del gergo operaio, non è neppure il modo di esprimersi proprio dell’autore in quanto distinto dal personaggio: è la forma di una vivacità, di una effervescenza, di un umore vitale che fanno di questo libro un’opera amabile e in certo senso nuova.
Giuliano Gramigna
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