Il Gran Custode delle Terre Grasse - Rusconi
Il Gran Custode delle Terre Grasse - Rusconi
Scorte ridotte: ne restano 1
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EDITORE: Rusconi
- AUTORE: Eraldo Miscia
- ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1975
- COLLANA: Narrativa Rusconi
1^ edizione marzo 1975.
Pag. 191 - Copertina morbida con risvolti.
Libro in buone condizioni con pagine abbastanza scurite.
Dal risvolto di copertina:
Romanzo allegorico, romanzo di fantasia? Saga familiare ridotta a favola, a memoria scherzosa, a polveriera utopistica? Nel leggere questo Gran Custode delle Terre Grasse, mi son poste tutte queste domande, cercando di incasellare la storia di Miscia nel grande alveare che Calvino e Malerba, Manganelli e Bonaviri fanno risuonare da qualche tempo con notevole autorità espressiva. Poi mi son ricordato dell’Abruzzo (Miscia è abruzzese, e pur sradicato ne conserva tutti i caratteri originari), e delle mitologie strambe che contraddistinguono quella regione, assieme alle superstizioni, ai riti, allo scenografico culto della famiglia. È proprio là che ha preso ispirazione la fantasia dell’autore, il quale ha completamente ribaltato il mondo dei «cafoni» di Silone e quello storico-sociale di Jovine, ha messo da parte i «problemi» e ha spinto tutto questo statico universo nelle aeree sfere della quotidiana follia, respirata un tempo dai «buffi» di Palazzeschi. Un’operazione, a mio avviso, magnifica, che rivela in Eraldo Miscia uno scrittore estroso, funambolesco, sensuale, peripatetico, eppure «radicato» come pochi a una realtà precisa: la sua terra.
Su questi presupposti e inventando genealogie a catena, Miscia ha aperto un compasso, disegnando strani circoli, capricciosi e irrazionali, dove i Giuseppe, i Gerolamo, i Teodoro, le Giovine, le Isoline, le Giustiane, i Francescopaolo, ecc. fanno a gara per mordersi il collo come vampiri, rivendicando il loro diritto ad esistere e a non-esistere, ad essere e ad inventarsi la vita a proprio modo, nell’arcana lontananza dalla Storia, ormai svuotata di ogni senso. Alla fine tutti restano incasellati in una cornice romanzesca affascinante, ma dalle strutture atipiche, sbilenche, come in una stupenda pittura naïve che scoppi di «salute». Nessuno degli scrittori più recenti, ch’io sappia, era andato a fondo con tanta sottigliezza in questo gioco dei possibili, partendo da una geografia e da un ethos per niente immaginari.
Giacinto Spagnoletti
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