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La congiura di Don Giulio D’Este e altri scritti ariosteschi

La congiura di Don Giulio D’Este e altri scritti ariosteschi

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Dettagli prodotto :
  • EDITORE: Mondadori
  • AUTORE: Riccardo Bacchelli
  • ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1958
  • COLLANA: Tutte le Opere di Riccardo Bacchelli - vol. XV

Libro in ottime condizioni, con cofanetto in cartone rigido con qualche segno d’uso.

1^ edizione.

Pagine 688 - copertina rrigida telata di colore rosso.

li intrighi nella Ferrara di Ariosto: la congiura
Ludovico Ariosto era stipendiato alla corte di Alfonso I quando si trovò ad assistere tra il 1505 e il 1506, alle drammatiche vicende che stavano travagliando la corte estense e rischiavano di mettere in pericolo la pace e l’equilibrio della città di Ferrara.

L’episodio fu quello della congiura ai danni del cardinale Ippolito I d’Este scatenata dalla rivalità tra Don Giulio d’Este e il fratellastro, il Cardinale Ippolito. Don Giulio (1478-1561) figlio illegittimo di Ercole I d’Este e di Isabella degli Arduini, era stato riconosciuto da Ercole e accolto nella famiglia ducale. Era un giovane bellissimo e godereccio, senza alcuna ambizione politica, pago della cospicua rendita di cui l’aveva dotato, alla morte del padre Ercole, il fratello Alfonso I, e che gli permetteva di mantenere nel più sfrenato lusso il suo magnifico palazzo. L’equilibrio famigliare si ruppe a causa di rivalità amorose. In seguito a un agguato tesogli dal Cardinale Ippolito, geloso di Angela Borgia, la dama di corte di cui era invaghito senza successo, Don Giulio resta quasi accecato. Serbando un motivato sentimento di offesa non solo per il danno subito ma anche per l’atteggiamento passivo e quasi ostile che gli riservò il Duca, Don Giulio troverà l’appoggio di Don Ferrante, quest’ultimo “avido di onori e di dominio”, nell’ordire trame di vendetta. La congiura messa in atto nel 1506 per uccidere sia il cardinale Ippolito I che il duca Alfonso I fallì in maniera rovinosa e si concluse con la severa punizione di tutti i coinvolti. Giulio e Ferrante furono risparmiati dalla pena capitale, ma furono rinchiusi nelle prigioni del Castello: Ferrante vi rimase fino alla morte avvenuta nel 1540, mentre on Giulio ottenne la scarcerazione solo nel 1559 grazie al nuovo Duca, Alfonso II.
Al racconto della congiura Ariosto dedicherà una sua Egloga dove userà toni di severo rimprovero verso coloro che avevano rischiato di far precipitare Ferrara nel caos di una guerra civile.
Questa egloga fu definita da Giulio Bertoni, tra i maggiori studiosi dell’opera ariostesca, come un brutto atto di adulazione del Poeta verso Ippolito I, dove venivano appositamente giustificate le efferatezze verso don Giulio d’Este. Anni dopo, Riccardo BACCHELLI rivedrà le considerazioni del Bertoni descrivendo il componimento ariostesco non come un esempio di poesia cortigiana, né tanto meno come un’invettiva o uno sfogo di indignazione, ma come un libello politico. Accanto all’amore e al rispetto verso un duca che tanto aveva fatto e continuava a fare per Ferrara, l’egloga esprimeva, di fatto, i pensieri di un vero teorico della ragion di stato: “poiché, uscendo con piena libertà logica dall’argomento, dinastico, giuridico e morale, presuppone l’esame della pubblica utilità, ammette l’ipotesi del fatto, e riprova i facinorosi puramente per ciò che sarebbe nato dal fatto loro: esiziale e distruttivo di fronte a un governo utile di fatto, come quello del duca” (Bacchelli 1931, p. 500).

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