Monte Rosa - di Giuseppe Garimoldi - Davide Camisasca - Priuli & Verlucca
Monte Rosa - di Giuseppe Garimoldi - Davide Camisasca - Priuli & Verlucca
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Dettagli prodotto :
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EDITORE: Priuli & Verlucca Editori
- AUTORE: Giuseppe Garimoldi (testo Di) - Davide Camisasca (fotografie Di)
- ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1990
Pagine 150 circa non numerate - decine di fotografie a colori ( alcune a doppia pagina ed alcune su tre pagine ripiegate).
Testo in italiano, francese ed inglese.
Copertina rigida di color blu, cofanetto rigido illustrato.
Libro in ottime condizioni.
Dall’introduzione:
Ogni montagna entra nella Storia con un suo carattere peculiare e un suo inconfondibile stile.....
Lo stile del Monte Rosa è bonario e famigliare, la sua forza è nel gruppo, il nome stesso designa la tribù e non il singolo. Lo caratterizza un arroccamento delle cime maggiori attorno ad un nucleo centrale da cui si diparte, in avanscoperta, la lunga cresta con le due vette dei Lyskamm, i Gemelli, la Roccia Nera e, come punta avanzata, i tre Breithorn. In tutto diciotto cime con quote superiori ai quattromila metri. Ma per ritornare a quel gusto delle cose fatte in famiglia, il Monte Rosa ha voluto fossero i suoi figli a salire per primi e, per indurli a superare i timori che i ghiacciai, perpetuamente in movimento, incutevano, ha fatto ricorso al fascino antico e misterioso della leggenda. Il mito è quello della valle Perduta (Das Verlorne Thal), una leggenda tanto viva, nelle valli italiane e sul versante svizzero, che c’è chi non esita a portare testimonianze a conferma.
Così i montanari di Macugnaga giurano che la limpida e copiosa sorgente del Fontanone, che sgorga dai ghiacci non lontano dall’origine delle turbolente onde dell’ Anza, altro non sia se non la via di scarico delle acque della mitica valle altrimenti chiuse fra i ghiacci.
I vallesani, al contrario, sono concordi nell’affermare che la valle misteriosa è bagnata da una sconosciuta sorgente del Visp, sulle cui rive abbondano gli alberi da frutto. A riprova di ciò, assicurano che in autunno non è difficile scorgere, fluttuanti sulle acque, le mele rosse maturate nella valle sconosciuta e uscite con l’acqua del torrente attraverso chissà quali misteriosi passaggi.
Su di un punto svizzeri, piemontesi e valdostani sembrano concordi: la valle, malgrado i ghiacci che la rinserrano, gode di una temperatura invidiabilmente mite, tanto che i camosci vi accorrono a svernare sin dai lontani Diablerets, L’arte venatoria, oggi così controversa, era in tempi andati prima ancora che una passione una integrazione alla scarsa economia della montagna. Fu così, che, mettendo insieme curiosità e vantaggi, con il timore di essere preceduti dai valsesiani, nel 1778 gli uomini di Gressoney decidono l’avventura.
Sono in sette e i preparativi hanno la segretezza d’una congiura; si allontanano dal paese a coppie, come per andare a caccia e a notte si ritrovano a Laretz, dove uno di loro tiene in estate gli animali. Di dormire non si parla, attorno al fuoco con qualche bevanda calda ci si scambia apprensioni e speranze finché, a mezzanotte, si riprende a salire.
Per gente di montagna la marcia è sicura anche al buio; alle quattro sono alla base del ghiacciaio e prima di affrontare l’ignoto si fanno passare una lunga corda sotto le ascelle. In testa sono i fratelli Valentin e Joseph Beck, seguiti da Sebastien Linty, Etienne Lisge, Joseph Zumstein, Nicolas Vincent e, a chiudere François Castel.
Nella sua relazione Joseph Beck ricorda l’aria sottile e il mal di testa, il rifiuto dei loro stomaci ad accettare qualsiasi alimento che non fosse pane e cipolle. Tuttavia anche le cipolle non riescono a combattere la tristezza e l’abbattimento che li pervade.
A mezzogiorno sono al culmine del ghiacciaio, proprio sull’isolotto roccioso che da quello storico avvenimento prese il nome di Roccia della Scoperta (Entdeckungsfels).
Le cime del Monte Rosa sono a portata di mano, ma nessuno ci pensa, perché l’attenzione è tutta per la valle Per duta, per quel digradare rovinoso di ghiacci che s’è aperto loro di fronte e verso quell’avaro brandello di verzura che appare in distanza.
Nascono le prime incertezze e Beck ricorda come nessuno di loro sia mai stato sul versante vallesano, quindi: come essere certi che lo scorcio sotto i loro occhi appartiene alla mitica valle e non semplicemente al Vallese?
In quell’inquietudine di scoperta le ore fuggono rapide, cosicché il timore di essere sorpresi dalla notte sul ghiacciaio li avvia al ritorno prima di aver chiarito le idee.
E con un rassegnato E per questa volta, amen! che Beck chiude le sue note.
I dubbi, accresciuti dalle discussioni collettive, li inducono a ritornare alla Roccia della Scoperta nei due anni successivi.
Sperano ancora di poter risolvere il mistero scendendo lungo il ghiacciaio del versante opposto, ma i crepacci sono molti ed il tempo si perde ........
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