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L’oro degli Sciti - Alfieri Edizioni D’arte

L’oro degli Sciti - Alfieri Edizioni D’arte

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Dettagli prodotto :
  • EDITORE: Alfieri Edizioni D’arte
  • AUTORE: L.l. Barkova, L.k. Galanina, K.m. Scalon, I.p. Zaseskaja (catalogo A Cura Di)
  • ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1977

Pag. 100 - con fotografie in bianco e nero nel testo.
Copertina morbida un pochino rovinata al dorso nell’angolo superiore con il retro.
Libro in più che buone condizioni.
Catalogo della Mostra di Venezia, Palazzo Ducale settembre / novembre 1977.
Presentazione di Cesare Brandi.

La mostra permette di conoscere a quella stragrande maggioranza di italiani che non è stata in Russia quasi un mondo nuovo, quello dell’arte delle steppe euroasiatiche.
Questo mondo è ancora in gran parte misterioso, appena illuminato ai margini dalla storia dei popoli con cui gli Sciti in primo luogo vennero in contatto: e dunque greci principalmente, ma anche iranici e cinesi. Erano nomadi, come tutti gli allevatori di bestiame, ma che il nomadismo fosse poi in parte un riflusso d’una fase agricola, spiega come dei nomadi potessero avere sviluppato, ad un livello tecnico notevole, le tecniche della fusione dei metalli, che, per eseguirla, richiede postazioni fisse. D’altronde si subodora che dire Sciti è riferirsi ad un nome collettivo usato per una moltitudine di tribù, che solo i Greci chiamavano Sciti e gli iranici in un altro modo, ma che per quanto non omogenei, avevano una cultura comune: tanto è vero che quando alla fine compaiono i Sarmati e distruggono o soppiantano gli Sciti, le produzioni artistiche, che si rinvengono nelle tombe, non si diversificano da quelle scite che per l’inevitabile cangiamento nel tempo, non per un’impostazione figurativa diversa da quella nota nell’arte scita.
La quale si discute ancora se sia nata nella Siberia o nei pressi dell’Asia minore. Ma è una discussione dotta da fare a tavolino: una volta messi in contatto con le opere, a farne un’analisi disinteressata, appare chiarissimo che anche nella fase più antica, che non oltrepassa il VII secolo, l’arte scita non nasce come un fiore di campo dall’osservazione naturale; non è mai, in nessun momento, un ricalco naturalistico. Il suo è realismo, non naturalismo; e cioè mostra un riferimento al fenomeno che passa sempre attraverso uno schema formale. E questo schema formale è uno schema volumetrico, basato sulla drastica riduzione a volume di episodi plastici susseguentisi nel modello naturale. Un dato di questo genere, assolutamente inoppugnabile, mina la tesi siberiana alla base. L’arte scita non è un caso di generazione spontanea, ma si rivela un processo innescato dai contatti con l’arte della Mesopotamia che, dai Sumeri agli Assiri, ha come struttura fondamentale il volume, come si controlla dalla scultura all’architettura. L’unico popolo di grande antichità e cultura che era in contatto con la Siberia, era il cinese, di cui si conoscono produzioni artistiche ben più antiche di quelle scite, ma che mai ebbe come struttura fondamentale il volume geometrico. E anzi interessante che ad un certo momento si può constatare un’influenza dell’animalistica scita, o arte delle steppe, anche sulla raffinata arte cinese.

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